Know how aziendale, sviluppo e tutela

Definizione di know how

Avrete senz’altro sentito parlare di know-how anche se magari non è facile darne una definizione. Il concetto che esprime la locuzione è semplice: il know-how è l’insieme di tutte le conoscenze, e abilità tecniche necessarie allo svolgimento delle operazioni all’interno di un’attività commerciale o industriale, siano esse intellettuali o manuali.

Se parliamo di know-how, come spiega BusinesscoachItalia.com è facile collegarsi ad altri temi, talvolta critici, come la proprietà intellettuale e la condivisione di questa conoscenza.

Per salvaguardare questo patrimonio sarebbe bene prevedere una condivisione riservata dell’informazione interna ed usufruire di brevetti e licenze Creative Commons.

Know how professionale e manageriale

Il successo di un know-how si verifica quando si è in grado di collocarlo sul mercato a discapito di quello dei competitors.

Sebbene potremmo essere portati a pensare che il know-how sia qualcosa di unico, ne esistono almeno due tipologie: il know-how professionale e il know-how manageriale.

Il know-how professionale è l’insieme di conoscenze generali sulle quali si basa la nostra impresa e che ci permette di generare ricavi (ad esempio il know-how professionale di uno studio legale è il know-how legale).

Il know-how manageriale comprende tutte le attività e capacità di incrementare il valore della propria attività attraverso, ad esempio, un aumento del numero di clienti che genera aumento di fatturato.

Quindi possiamo dire che il know-how professionale è la competenza per la quale un cliente si rivolge ad un’azienda, mentre quello manageriale ci permette di trovare il cliente e di mantenere i rapporti.

Per questo motivo è importante sviluppare entrambi i know-how: curarne lo sviluppo in maniera contestuale può far accrescere il successo di un’azienda, in ogni suo aspetto, dal logo alle singole strategie

Tutela civile del know how

Il know-how nel marketing e il segreti commerciali hanno un’importanza sempre più alta nella competizione tra aziende, in particolar modo in Italia, la cui economia è formata principalmente da medie e piccole imprese di alta qualità in cui in know-how ha un ruolo fondamentale.

E’ quindi davvero necessario tutelare questo patrimonio di conoscenze: la tutela può rientrare nel campo del diritto del lavoro poiché quest’ultima comprende una corretta gestione delle informazioni e dei dati aziendali riservati.

Bisogna, quindi, capire fin dove si possa estendere il controllo del datore di lavoro ed individuare le clausole contrattuali migliori per tutelare le esigenze di controllo.

Vediamo insieme qualche metodo per tutelare giuridicamente il know-how:

  •   il controllo a distanza: ai sensi dell’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, il controllo a distanza coincide in un controllo dell’ambiente e dell’attività lavorativa a distanza fisica o temporale. Si distingue in:
  •   controllo diretto che avviene attraverso l’utilizzo di attrezzature che permettono il controllo a distanza del lavoro dei dipendenti. Questa modalità è vietata se il lavoratore non è a conoscenza dell’identità della persona che vigila sulla sua attività;
  •   controllo preterintenzionale. Si verifica quando gli strumenti di sorveglianza installati per motivi organizzativi o di tutela dei beni dell’azienda, permetto comunque un controllo sul lavoro dei dipendenti. Questo tipo di controllo è ammissibile sono se l’installazione di questi strumenti risponda realmente ad esigenze comprovabili. Per l’installazione di queste attrezzature c’è bisogno di un accordo sindacale o di un’autorizzazione dall’ITL, che si occupa di videosorveglianza e geolocalizzazione,
  •   controllo degli strumenti di lavoro, degli accessi e delle presenze: il datore di lavoro può effettuare un controllo degli strumenti tecnologici necessari allo svolgimento dell’attività lavorativa. Anche per questo tipo di controllo è necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione da parte dell’ITL.
  •   Adozione di una policy aziendale: una policy contiene tutte le norme interne per la regolamentazione del lavoro di un’azienda ed è stabilita unilateralmente dal datore di lavoro o da un esperto del settore, come un avvocato. Deve contenere, in particolare, le indicazioni per l’organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro e deve dichiarare le modalità dei controlli che il datore di lavoro intende effettuare. Devono essere dettagliate e rese note ad ogni lavoratore e vanno aggiornate periodicamente. E’ necessario specificare:
  •   i comportamenti tollerati e quelli non tollerabili;
  •   a quali informazioni può avere accesso il lavoratore;
  •   se, e in quale modalità, intende effettuare controlli sull’attività lavorativa in conformità di legge; deve indicare le tempistiche in cui intende eseguirli e deve fornire motivazioni legittime er le quali effettuare questi controlli;
  •   quale conseguenza disciplinare deriva dalla violazione della policy.
  •   Controlli difensivi: sono controlli necessari per accertare dei comportamenti illeciti del lavoratore durante la prestazione lavorativa. Questi controlli sono volti alla difesa del patrimonio aziendale, tra cui rientra anche il know-how;
  • ·   whistleblowing: è una segnalazione fornita da un dipendente su atti illeciti compiuti da suoi colleghi. Questo tipo di controllo è stato introdotto nel 2001dall’art.54-bis del D.Lgs. n.165/01 (regolato successivamente da L. 179/2017). La norma prevede anche delle tutele nei confronti del segnalante: ne tutela l’identità, riconosce un premio in denaro, mette in atto il divieto di atti di ritorsione nei confronti dei segnalanti e prevede sanzioni per chi viola queste misure di tutela. Prevede, però, anche sanzioni per chi effettua segnalazioni infondate, in maniera dolosa o colposa.